martedì 27 settembre 2011

Suoni, architettura e territorio alleati per una crescita armonica

I luoghi possiedono per noi un significato in quanto sono adesi, strettamente connessi a una stratificazione di sensazioni, di immagini che li fa vivere e che non è necessariamente la nostra.

Questo incontro parla anche di disegni che ognuno di noi ha fatto quando era bambino e che ogni bambino farà allo scopo di delimitare un proprio territorio psichico; dell’incuria che spesso l’uomo dimostra nei confronti del suo destino; della violenza che la tecnologia moderna opera sui nostri luoghi e sul nostro mondo, e infine degli stretti rapporti che intercorrono tra musica e architettura.

Del camminare silenzioso in una strada di campagna, di cortili abbandonati, della pioggia che cola sui vetri , di bambini che sentono musica e giocano a costruire castelli.

Sono le povere cose che testimoniano a volte un mondo perduto, a volte ritrovato, le cui tracce appena visibili costituiscono il tessuto della nostra vita.

Tracce, appunto, di territorio.

Nel territorio si innesta a forza l’architettura che da sempre ha cercato e trovato un profondo colloquio con i luoghi.

Ma negli ultimi cinquant’anni non più.

Roberto Peregalli, allievo dell’architetto Renzo Mongiardino nel suo ultimo libro

“I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione” racconta che nell’800 in Inghilterra sono nate diverse scuole di maggiordomi . Tra gli insegnamenti più complessi e difficili c’era la pulitura degli argenti. Il segreto è lasciare nelle scanalature gli annerimenti del tempo, cioè pulire solo la superficie senza toccare le “rughe” degli oggetti..

Questo è il tipo di sensibilità che dobbiamo imparare quando parliamo di armonia, musica, architettura, territori.

Descrizione del luogo della fobia.

Quando il bimbo inizia a disegnare…all’età di quattro anni…pone sul foglio una rappresentazione del suo apparato psichico, il primo disegno, un luogo suo personalissimo, uno spazio solo suo in cui egli nasce, nuovo di zecca, e si conquista il primo territorio in cui pone un animaletto (l’animale essenziale) che li comprende tutti, racchiude tutto in un perimetro del foglio e traccia la barriera dell’incesto.

D’ora in poi anche lui avrà guadagnato, come del resto qualunque essere vivente, il suo posto nell’economia della natura, come suggeriva Darwin. Sarà padrone di un suo territorio, mentale.

Questa affermazione del filosofo Heidegger è molto significativa:

“Oggi l’uomo pone in gioco la potenza illimitata dei suoi calcoli…ovunque si fa avanti il gigantesco”. (Heidegger)

Le torri, le cattedrali, le moschee, i castelli e più tardi le ciminiere erano grandi. Ma costituivano il segno di riconoscimento di un luogo, erano tutto ciò attorno a cui ruotava un paese o una città.

Oggi l’architettura non è quasi mai pensata in funzione del territorio circostante, né di chi abiterà quel luogo. Oggi nessuno parla più di case.

Questo ribaltamento dei modi del costruire crea un’uniformità planetaria dell’estetica e dell’architettura. Ovunque si vada sembra di trovarsi sempre nello stesso posto.

Invece di ascoltare quello che chiedono i luoghi, cosa è meglio per loro, si cerca di costruire solo ciò che può stupire .

Ciò che dovrebbe essere fatto invece è un “operare riguardoso”. Ascoltare i luoghi, stare loro accanto, senza la volontà folle di impadronirsene.

La natura e l’architettura si fondevano in un solo paesaggio (una volta erano piccole chiese di campagna e fattorie circondate da prati e da alberi su colline bruciate dal sole, torri di pietra tra le rocce) la natura e l’architettura si fondevano in un solo paesaggio, in cui il materiale dell’una si fondeva/specchiava in quello dell’altra come un riflesso.

Il pieno accordo tra luogo naturale e l’opera dell’uomo era un tacito assioma, una legge quieta che, da Platone e Aristotele, è arrivata sino agli albori del secolo scorso.

Una sensazione di familiarità e di fierezza reciproche, così nascevano i luoghi.

Oggi la natura è trattata come una materia amorfa, da sfruttare per soddisfare bisogni nuovi (anche se non si sa quali essi siano).

Se il mondo è tutto uguale, ovunque guardi, il bambino/l’essere umano, vi vede lo stesso paesaggio traumatico (fatto di linee rette, di spigoli vivi, di finestre a nastro, di cementificazioni prefabbricate). Tutto è psicotico. Giacché proprio la psicosi omogeneizza il mondo, ma verso il basso.

D’altra parte cogliere i propri sentimenti e accettare di convivere con essi nel bene e nel male, non è qualcosa di scontato e naturale.

E’ al contrario una capacità che si sviluppa fin dall’infanzia attraverso esperienze relazionali (anche con natura e paesaggio quindi! ) in cui vi sia una certa espressività di sentimenti e che siano sufficientemente permeate di scambio emotivo.

Il bambino impara cioè a riconoscere e a distinguere i propri stati d’animo se li vede confermati, capiti o comunque colti dai suoi familiari.

Questo succede sempre più difficilmente nel nostro tipo di società in cui i rapporti sono più che altro instaurati con macchine tecnologiche (Tv, nintendo, cellulari ecc.).

L’individuo viene così condizionato ad accumulare dentro di sé, a negare e a reprimere l’emozione.

Si rischia anche di vedere la natura come qualcosa di superfluo e ornamentale.

Il tipico delirio degli psicotici è classicamente quello della fine del mondo.

Sembra invece che oggi la condizione delirante più pericolosa e socialmente più diffusa stia diventando quella opposta.

Questa condizione consisterebbe nel ritenere che il nostro territorio sia indistruttibile e che tutto continuerà come prima, nonostante i disastri che gli uomini vi combinano.

domenica 25 settembre 2011

La strada degli orti

Ma non è quella che tutti conosciamo a menadito? Sì, proprio la stessa strada.
Però nessuno oggi sembra ricordarsene più.
E' l'esperienza del ritorno alla cura di un orto, alla letteratura sul territorio, al benessere che può indurre l'ascolto di un'antica melodia, del ritorno, in sostanza, a tutto ciò che sembra più vicino all'esperienza di un ritrovato Paradiso (terrestre?) da cui, del resto, tutti noi proveniamo.
Il territorio, la natura hanno una relazione antica ed imprescindibile con l'uomo.
Il mondo di oggi, spesso caotico ed alienante, porta l'individuo ad allontanarsi da elementi percettivi ed esperienziali che, invece, gli creano benessere e di cui ha necessità.
Questa riflessione è alla base della proposta La strada degli orti che vuole essere occasione per ripristinare, o almeno cominciare ad intravedere, un percorso personale di valorizzazione e recupero della propria sensibilità.
Tutto ciò potrà essere rivissuto domenica 2 Ottobre 2011 alla Fattoria delle Ginestre, a Genestrello, presso Montebello della Battaglia, in provincia di Pavia, nell'ambito delle attività dell' Ecomuseo della prima collina voluto, tra gli altri, da Silvana Sperati, fondatrice e animatrice della Fattoria e dall'Associazione Tracce di Territorio.
Dalle ore 15 in poi gli ospiti potranno rilassarsi nel verde delle colline, progettando un giardino rinascimentale, seguendo un laboratorio di scrittura e letture rurali o ascoltando e ricreando musiche antiche.
L'incontro si compone infatti di tre parti: la cura dell'orto, le tracce di territorio e le armonie nell'orto.
La partecipazione alla giornata comporta solo un piccolo e libero rimborso spese che sarà devoluto al nascente Ecomuseo della prima collina e sarà utile per conoscere un approccio metodologico che sarà sviluppato in un successivo ed articolato percorso formativo dedicato a: esperti del territorio, terapeuti, educatori, animatori, insegnati, appassionati.
Il tutto con la supervisione di tre esperti: Gian Battista Ricci, psicoanalista e conduttore di laboratori di Horticultural Therapy; Angelo Ricci, scrittore e operatore culturale; Annamaria Gheltrito, musicoterapista e cantante lirica.
In pratica questo incontro sarà un itinerario di ricerca, riflessione ed evoluzione personale che si avvale di un percorso metaforico, sia teorico che pratico, di reinterpretazione del rapporto tra uomo e natura nel segno più profondo di una vera cultura del territorio.

mercoledì 2 marzo 2011

Il discorso del re

Regia di Tom Hooper. Con Colin Firth, Geoffrey Rush e Helena Bonham Carter.
Il film è incentrato sulla coppia terapeuta/paziente e sulla narrazione di un rapporto di tipo psicoanalitico che lega un soggetto balbuziente e insicuro al suo "guaritore".
Tra il futuro re d'Inghilterra, in questo caso Giorgio VI, e il suo logopedista si instaura un legame di odio/amore tipico del setting analitico.
Il paziente sembra voler dire al terapeuta: "Ti odio ma ho bisogno di te. Ti detesto e ti disprezzo ma non posso fare a meno, come futuro re, di imparare da te a parlare in pubblico al mio popolo." Mai come in questo caso l'insegnamento del verbo, in qualunque modo si intenda interpretarne il significato, assume un carattere euristico e metaforico così forte.
E' la riedizione del rapporto che intercorre tra genitore e figlio e la più importante spinta verso la guarigione che in psicoanalisi prende il nome di transfert.
Come spesso accade il paziente non ha nessuna intenzione di guarire, anche se ne ha immenso bisogno, sopratutto nel momento in cui saprà di venire incoronato al posto del fratello che abdica a causa della donna amata.
Ma l'essere re o il divenirlo fortuitamente, come capitò a Giorgio VI, significa prima di tutto conquistarsi il diritto di signoreggiare sulle proprie paure, sul proprio stato di "essere" sottomesso a un destino biologico, in questo caso la disfunzione della loquela, destino che ha trasformato letteralmente l'individuo in una sequenza di balbettii da neonato.
E' da notare che in effetti questo futuro re non sembra nemmeno un re ma un paziente qualunque.
Ha ragione Elena Stancanelli a scrivere sul Venerdì di Repubblica del 25 febbraio 2011, nella rubrica Zona critica a pagina 154, di aver trovato "irragionevole" e anche "un pò stucchevole" il personaggio.
In realtà ogni paziente è spesso entrambe le cose ma tuttavia è proprio su questi scarti della psiche che è necessario lavorare analiticamente, e prima di tutto su noi stessi nel difficile compito di accettarli.
La figura del terapeuta possiede poi nella pellicola alcune caratteristiche fondamentali che mi hanno interessato. E' prima di tutto uno straniero, più precisamente un australiano, con tutti i pregiudizi che questo ha sempre comportato per gli Inglesi.
Dal punto di vista antropologico inoltre è lo straniero che possiede il fascino e analiticamente è una figura che rappresenta la seduzione , ciò che porta via con sè sulle tracce della guarigione.
E poi il logopedista Rush possiede nel film un bene prezioso e quasi insostituibile: una vita emotiva stabile ma estremamente creativa. Un inusuale rapporto di rispetto e collaborazione con la moglie, rapporto di cui si sono da tempo perse le tracce nella nostra vita civile. Ma sopratutto non ha legami con lo stato, con l'autorità costituita. Non è vincolato, come lo è uno psichiatra o uno psicologo, alla figura del "pubblico ufficiale", anzi non ha neppure un'abilitazione o un "pezzo di carta" che lo qualifichi. Ma è proprio questa la sua forza.
E' in sostanza una figura "etica" che si sostiene quasi esclusivamente sulla sua grande esperienza acquisita e maturata trattando i traumi di guerra dei reduci. Ricordiamo la sequenza in cui il medico di corte consiglia al futuro re, ai fini della guarigione, di tentare di parlare con dei sassolini in bocca; metodo classico ma non adatto all'occasione.
Ricordo ancora che lo stesso Freud cercò sempre di evitare l' eccessiva medicalizzazione della sua terapia consigliando di lasciare il giusto spazio alla pratica clinica dei non medici. Pratica empirica basata sul'esperienza che oggi sempre più spesso viene fin troppo facilmente definita "selvaggia" preferendole assurdamente una preparazione quasi esclusivamente accademica.
Anche della figura etica di cui ho parlato se ne sono da tempo perse le tracce.
In sostanza il personaggio assume le sembianze di un vice padre, un amico, un tutore, uno che soffre per la condizione del paziente e fa di tutto quanto è in suo potere un'arma per strappare alla malattia il malcapitato che si dibatte e, irragionevolmente e goffamente, non vuole guarire.
Il discorso finale commuove ovviamente non tanto per quel che dice ma per come lo dice.
Una ulteriore conferma, sostenuta anche da recenti ricerche neuroscientifiche, dell'assunto che la cura della sostanza passa anche attraverso la forma.

lunedì 28 febbraio 2011

Presentazione del progetto "Atlante di ecologia umana e dei suoni della Lomellina"


Sabato 26 Febbraio 2011, alle ore 10.30, presso la sede dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino, a Palazzo Strada, in Ferrera Erbognone (PV), è stato presentato il progetto "Atlante di ecologia umana e dei suoni della Lomellina", creato dall'Associazione Tracce di Territorio.
Il compito dei ricercatori è stato arduo. Sia per la quantità di dati da recuperare sia per la distribuzione geografica: più di quaranta comuni sparsi sul territorio lomellino. Gli strumenti utilizzati vanno dalla distribuzione di questionari tematici all’inquadramento e calendarizzazione delle attività svolte nei vari comuni, dalla rilevazione territoriale e cartografica alla scoperta delle risorse intellettuali. La raccolta di tutte le informazioni desunte dai questionari distribuiti presso i comuni e da tutte le altre azioni, interviste e cartografie comprese, ha fotografato:
- La dimensione socio-demografica del territorio attraverso informazioni di prima mano sulla popolazione residente, le classi di età, gli indici di struttura, i movimenti anagrafici, la popolazione straniera residente e così via.
- La dimensione delle dinamiche sociali ha fornito dati sul sistema scolastico, sull’associazionismo e il volontariato, sulle emergenze minorili e giovanili.
- La dimensione economica ha preso in considerazione il numero di unità locali di impresa per settore, il numero di addetti, la mappatura delle eccellenze artigiane, l’inventario delle filiere.
E’ stata attivata una raccolta di informazioni relativa anche al:
- Settore turistico che ha monitorato la presenza di attività ricettive, la presenza e permanenza di turisti divisi per nazionalità, periodo e gradimento dei soggiorni nonché la dimensione economica dell’intero comparto.
- La dimensione ambiente e territorio ha fornito un’immagine reale dell’uso del suolo, della superficie agricola e dei suoi vari utilizzi, delle coperture boschive, delle aree protette e di quelle a rischio idrogeologico. E’ stata stilata una carta delle risorse paesaggistico-ambientali nonché una mappa dei sentieri e dei percorsi ciclo-pedonali. Infine la dimensione culturale ha permesso di evidenziare le cosiddette risorse sceniche, l’immagine che gli abitanti si fanno dei territori in cui abitano e le risorse intellettuali, narrative, filosofiche e tecniche, in sostanza non solo un quadro abbastanza completo di ciò che gli abitanti pensano del proprio territorio ma anche di ciò che si aspettano o temono che diventi in futuro. ”Una ricerca – ha spiegato il prof. Dipak R. Pant , direttore dell’unità di studi interdisciplinari per l’economia sostenibile presso l’Università LIUC di Castellanza – che servirà come strumento indispensabile a tutti coloro che vorranno esercitare, almeno per i prossimi venticinque anni, le future progettualità sul territorio lomellino”. La seconda parte del progetto, anch’essa ultimata con la collaborazione dell’Associazione Tracce di Territorio e coordinata dal prof. Gianni Pavan, direttore del Centro interdisciplinare di bioacustica e ricerche ambientali dell’Università degli studi di Pavia, è costituito da un lavoro di campionamento sonoro sia degli ambienti naturali, con tutte le specie presenti, che delle realtà tradizionali (rumori derivanti dal lavoro dei campi, suoni delle campane, rumori delle macchine agricole). “Si è così realizzata – spiega Pavan – una raccolta di suoni e rumori rappresentativa delle realtà locali, anche se non ancora esaustiva”.
Nella sede di Ferrera Erbognone dell’Ecomuseo verrà attrezzato un laboratorio sui paesaggi sonori della Lomellina, con tabelloni informativi e una presentazione multimediale che riguarderà i vari ambienti ecologici presenti nell’Ecomuseo, le specie animali, i relativi suoni.Il laboratorio permetterà a visitatori e studenti di sperimentare gli effetti delle tecniche di registrazione della natura e dell’ambiente antropico.Sarà inoltre messa a disposizione una strumentazione ad hoc per registrare, durante escursioni in campagna, i suoni delle specie presenti. Regione Lombardia, Fondazione Banca del Monte di Lombardia ed Eni hanno contribuito alla realizzazione di entrambi i progetti i cui risultati verranno al più presto pubblicati in volume e messi a disposizione della comunità dall’Ecomuseo del paesaggio lomellino.
Ha intodotto i lavori Fabio Rubini, vicepresidente dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino.
Sono seguiti gli interventi di Guglielmo Cajani (Fondazione Banca del Monte di Lombardia), Remo Pasquali (direttore "Raffineria del Po" Eni di Sannazzaro de Burgondi), Giorgio De Pino (Eni spa), Dipak R. Pant (direttore dell'Unità di studi interdisciplinari per l'economia sostenibile presso l'Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza, Varese), Gianni Pavan (direttore del Centro interdisciplinare di bioacustica e ricerche ambientali-CIBRA, Università degli Studi di Pavia).

mercoledì 23 febbraio 2011

In auto sul ponte di Calatrava

Perchè stupirsi delle ovvietà? A parte l'ipotesi 'ragazzata' il ponte rappresenta una costruzione che con la città ha poco a che vedere. Lo hanno dimostrato ancora una volta questi ragazzi un poco alticci e magari in vena di superare qualche divieto. In realtà il ponte è uguale, almeno di notte, a qualunque altro ponte di qualunque altra tangenziale o bretella o raccordo autostradale del mondo.
Quindi perchè non percorrerlo alla stessa maniera di tutti gli altri?
Cioè con l'auto?
I soggetti risultano vittime del solito effetto 'misunderstand' dell'architettura cosidetta moderna. L'architettura che omogenizza le forme e qualunquifica le sostanze fino a non far più capire dove ci si trovi. A Venezia tutti i ponti hanno sempre avuto gli scalini perchè parte di un tessuto urbano in cui il trasferimento di uomini e merci avveniva per vie d'acqua, proveniente quindi da una esperienza storica e umana priva di auto e priva di trasporti su ruote. Anche oggi devono avere gli scalini se si vuole che nessuna auto ci monti su, e in effetti tutti i ponti ce li hanno gli scalini.
Tranne quello di Calatrava.
E' vero anche che a Venezia solo questo ponte, per come è progettato, sembra permettere il transito di veicoli.
Un ponte qui deve essere costruito con gli scalini perchè è solo in questo modo che si riesce a far capire ai passanti, che in altre città verrebbero chiamati pedoni, che il ponte si trova proprio a Venezia e che la città, come ogni altra al mondo, necessita di un alfabeto particolare che permetta la riconoscibilità della singolarità irripetibile del suo patrimonio storico e architettonico. La singolarità che permette alle costruzioni, ponti compresi, di dialogare con il loro pubblico di passanti, visitatori, turisti, pedoni.