venerdì 13 novembre 2009

L'università del restauro

Leggo su Case & Country (n.° 193,Ottobre 2009) un contributo di Caterina Amadasi che si attaglia in modo molto stretto all'idea di università che da tempo cerco di applicare nel corso che tengo a Pavia. "Bottega", ecco la parola magica che riporta al Rinascimento e sottende un diverso rapporto tra Maestro e Allievo o Studente, meglio Studiere, come sottolineò tempo fa Carmelo Bene.

Un laboratorio di recupero e conservazione all'interno di una casa in stile gustaviano. Villa Ekensberg è stata acquistata e trasformata dal proprietario Lars Sjoberg, curatore capo del Nationalmuseum di Stoccolma e autorevole studioso dell'architettura e dell'arredamento nella Svezia del XVIII secolo.
Lo stile gustaviano, tipico del Settecento svedese si caratterizza per la semplificazione, con rigore nordico, delle mode francesi. Colori tenui, tessuti stampati o ricamati, stufe di maiolica dipinta e qualche timida doratura rococò.
Il modus operandi di Sjobeg è il seguente: acquista le sue case (ne possiede infatti una piccola collezione) e subito intraprende con l'aiuto della moglie Ursula una accurata ricerca d'archivio per conoscerne la storia. Nel caso di Ekensberg l'edificio è stato trasformato, dopo gli studi preliminari, in workshop di restauro per gli studenti che seguono i suoi corsi all'Università di Stoccolma.
La casa è oggi un laboratorio non-stop per il perfezionamento di docenti e allievi. Il recupero infatti è un banco di prova impegnativo e in base alle attitudini individuali c'è chi ripara gli stucchi dei soffitti, chi recupera antiche serrature di bronzo e chi aggiusta le antiche stufe di maiolica.
L'ideologia che soggiace a queste attività di recupero, caldamente raccomandata dal curatore, è che un corretto restauro filologico "non richiede di togliere il passato ammalorato per rimetterlo a nuovo, con le medesime tecniche di un tempo ma pur sempre applicate oggi" -spiega Sjoberg. "La regola vuole che ci si fermi alla prima (pellicola) patina di colore steso dai maestri artigiani di allora e la si lasci così, per quanto leggera o danneggiata possa sembrare".
Un pò come avviene in psicoanalisi, nei lavori di Sergio Finzi, che ci parla di restauro (delle teorie sessuali) come mezzo di sopravvivenza (psichica).

venerdì 6 febbraio 2009

"Repubblica" Giovedì 5 Febbraio 2009
Brasilia ripudia il suo creatore
"No alla piazza di Niemeyer"
Il celebre urbanista brasiliano presenta un nuovo progetto per la città che aveva inventato 50 anni fa. Governatore, colleghi e cittadini si ribellano: "Costa troppo. Ed è brutto". E lui decide di ritirarsi. Come se la creatura si fosse ribellata al suo creatore, la nuova piazza monumentale, con una palazzina semicircolare e un obelisco inclinato lungo cento metri, non piace a nessuno.
In realtà, sotto le ceneri della polemica, c'è molto di più. Chi vive a Brasilia non l'ama granchè. Uno dei commenti più diffusi è che si tratta di un luogo anacronistico, progettato con criteri stalinisti. Brasilia è una città pensata a blochi stagni che nello scontro con il disordine della vita quotidiana ha avuto la peggio creando situazioni spesso ridicole. Un esempio: tutti i negozi di ferramenta ed elettricità sono concentrati nella stessa strada. Poi, per chilometri quadrati, non ne esiste alcuno. Stesso discorso per gli alberghi, o per i ministeri, tutti nello stesso quadrilatero.
L'idea del progettista era la cellula abitativa urbana. Intorno ad ogni edificio doveva trovarsi tutto ciò che sarebbe servito ai suoi inquilini in modo che non fosse stato necessario spostarsi.
Un incubo di controllo sociale peggiore di quello immaginato da Orwell.

lunedì 26 gennaio 2009

L'inibizione scomparsa nell'architettura moderna







L'INIBIZIONE SCOMPARSA
NELLA
ARCHITETTURA MODERNA


Non solo la geografia ha il suo fondamento, come afferma Sergio Finzi, nella fobia ma anche l'architettura riconosce, o almeno ha riconosciuto, in questo concetto qualcosa che riguarda le sue origini.
Se infatti la geografia fu inizialmente la semplice demarcazione fantastica di un limite oltre il quale (le colonne d'Ercole) si situava il proibito più che l'ignoto, il "mortalmente pericoloso", anche l'architettura ha avuto come oggetto non i confini o i contorni degli edifici bensì i passaggi.
Come centro precipuo di interesse e oggetto della ricerca agli "istmi" della prima scienza possiamo far coincidere le "porte" della seconda, o in definitiva i "passaggi" per entrambe.
L'angoscia deve sorgere di fronte a queste aperture dal momento che ciascuna di esse potrebbe presupporre la presenza di un elemento sconosciuto, pericoloso o sacro, oppure tutti questi elementi assieme.

Gli aspetti centrali e qualificanti di tutti i riti erano l'apertura e la chiusura dell'evento, da intendere sia in senso spaziale che temporale, come il punto di entrata o di uscita fisica dall'area rituale o il momento in cui la rappresentazione e la realtà entravano, per qualche particolare, in contatto.

Tali posizioni , dette liminali , erano le più ricche di significati e potenzialità trasformative dal momento che costituivano le circostanze in cui i due mondi, toccandosi realizzavano quella conjunctio oppositorum, schema portante di successive forme di lavoro filosofico, culturale-religioso e anche figurativo-artistico (abbinamenti di chiari e di scuri) incentrato sugli opposti.
L'importanza e di conseguenza la visibilità attribuite ai punti liminari sul piano topografico-architettonico si basano sull'assunto che l'entrata e l'uscita dai siti sacri nell'antichità erano ritenuti i luoghi in cui si concentrava la sacralità di tutto il complesso.
La cosa in epoca megalitica veniva sottolineata in maniera molto tangibile, solitamente mediante due monoliti particolarmente imponenti ed evocativi mentre in alcune culture più tarde si faceva precedere l'entrata da un corridoio di accesso, il dromos delle tombe etrusche, in parte interrato.
A Milano l'accesso alla chiesa di Sant'Ambrogio è costituito da un lungo corridoio aperto e circondato da portici con colonne fornite di capitelli raffiguranti esseri diabolici e mostruosi che accompagnano il visitatore fin sulla soglia del luogo di culto.

Un mio paziente padre di una bambina piccola soffre di una situazione familiare molto penosa. La compagna ha deciso di dormire con la figlioletta nel letto matrimoniale relegandolo sul divano del salotto. Proprio qui verrà a fargli visita il cane della moglie in uno dei pochi sogni che ammette di ricordare nel corso di alcuni anni di analisi.
Il cane discende, in modo inspiegabile per il paziente, dallo stipite superiore della porta della camera da letto accanto alla quale è posto il divano. L'immagine ci suggerisce una rappresentazione onirica della "porta dei leoni" a Micene, un passaggio classico legato al mito e alla storia che unisce mistero, forte emozione e insieme inibizione.
La necessità sempre più impellente di tagliare con la compagna ci rimanda all'importanza del "tagliare" la terra per circoscrivere un'area sacra e inaccessibile, per qualche metro in dentro e in fuori, che costituiva ancora in epoca etrusco-romana il cosiddetto pomerio, la superficie su cui insistevano le mura della città.

In passato queste avvertenze/inibizioni erano ben presenti in architettura ma oggi, nelle costruzioni di cui usufruiamo ogni giorno, dal "di faccia al profilo" il trauma passa inosservato.
Questa affermazione va spiegata considerando che attraverso le tecniche di costruzione cambiate, meccanizzate, industrializzate, nel corso degli ultimi cento anni circa, porte e finestre hanno mutato il loro modo di rappresentare all'osservatore, a colui che ci passa attraverso o che lascia passare il suo sguardo, quella sorta di avvertimento, di significazione che manda un messaggio di questo tipo: "è necessario pure avere una certa attenzione ai passaggi".
Oggi non si può più fare a meno (giacchè il mercato mondiale non fornisce altro), perfino nella costruzione delle finestre con persiane di quell'elemento che in termine tecnico viene denominato "falso stipite", il quale messo di profilo rispetto allo stipite di un tempo, utilizzato di faccia, viene fissato/murato nello spessore delle pareti e costituirà il supporto per lo stipite vero e proprio che ha la funzione di sostenere i cardini della porta.
A sua volta lo stipite non possiede più nessuna "mostra", cioè nessun lato da mostrare all'osservatore ma viene fissato con alcune viti e rimane di profilo rispetto al fruitore.

E' necessario ricordare che fino ai primi anni del '900 infatti ogni porta era contornata da una cornice, simile a quella utilizzata nei quadri, posta di piatto verso il lato da cui sarebbe transitato l'osservatore e non viceversa.
A volte negli spazi situati superiormente venivano dipinte varie scene o applicate vere e proprie tele, quando decorazioni o immagini non si trovavano direttamente applicate sui battenti, ma anche qui solo dal lato di entrata.
Rispetto al passato oggi il transito attraverso porte e finestre, queste ultime almeno per quanto riguarda l'intensità della luce, viene facilitato quasi a mimare metaforicamente quel termine, "revolving dore", usato in psichiatria per indicare la continua entrata e uscita dei pazienti da un servizio psichiatrico.
L'adozione della definizione di "sindrome della porta girevole" sta ad indicare pazienti che entrano ed escono dalle strutture psichiatriche, in una ripetizione talora senza fine, e in cui è più frequente la diagnosi di schizofrenia. Di questi pazienti colpisce l'importanza dei rapporti fra questa sindrome e la morte, sia essa reale oppure sociale, morte del desiderio o, ancora, vera e propria pulsione di morte.


Porte e finestre da cui la luce solare non è più schermata da persiane ed ante ma giunge intatta e diretta attraversando lo spazio libero tra i listelli orizzontali delle tapparelle, come un raggio che disinfetta sì dai batteri ma proprio per questo brucia anche ogni forma di vita.
Se le radiazioni di un'esplosione atomica, che possiedono la caratteristica di bruciare ciò che illuminano e di lasciare indenne ciò che si trova in ombra, ci cogliessero dietro una tapparella non completamente abbassata, e che perciò permette il passaggio di lame di luce, i nostri corpi verrebbero anch'essi bruciati a strisce orizzontali. Ciò non accadrebbe nel caso delle persiane.
Ante e persiane schermano la luce che proviene dall'esterno permettendo una gradazione dell'intensità che produce un effetto consistente sulla percezione dei colori degli oggetti che si trovano all' interno delle stanze.
Inoltre è possibile ottenere il cosiddetto effetto "proiettore", utilizzato dai pittori rinascimentali in poi e molto apprezzato dai bambini di un tempo.
Questo effetto viene raggiunto attraverso lame di luce che entrano dagli spazi liberi tra muro e persiana, o tra i listelli delle persiane stesse, spazi che funzionano come il fuoco di una lente che produce immagini rovesciate a loro volta calibrate dalla differente posizione delle ante interne.
Si può ottenere così, proiettata sull'architrave superiore della finestra (con le tapparelle sparisce anche questa porzione di muro obliquo, sostituito dai cassoni in legno che nascondono il rullo), l'immagine reale e in movimento ma rimpicciolita e rovesciata, di chi passa per strada.
Giandomenico Tiepolo negli affreschi della villa di Zianigo, oggi a Cà Rezzonigo a Venezia, ha immortalato un marchingegno simile ma molto più grande: il "gran spettacolo del mondo", a uso e consumo delle folle curiose mentre nella rocca di Fontanellato, presso Parma, si può osservare un analogo utilizzo degli effetti della luce che passa attraverso piccole fenditure in una delle torrette aggettanti sulla piazza, fornita in epoca post medioevale di un simile osservatorio allo scopo di controllare i passanti.

Edward Hopper, il de Chirico americano, ha trasformato New york in una Tebaide di eremiti, in una città deserta immersa in una luce geometrica grazie alle sue finestre, senza vetri nè altro, spalancate sul mondo dalle quali, senza filtro o protezione, il mondo irrompe traumatico e indisturbato in ogni stanza e la luce scava senza pietà su ogni corpo e oggetto.
Finestre e porte larghe a dismisura sono state adottate dagli architetti del Ventennio con lo scopo di far entrare più aria e luce dalle "asfittiche" case degli italiani quasi con lo scopo di purificarne gli abitanti e assieme a questi i loro pensieri.
L'architettura funzionalista, da cui deriva la nostra moderna estetica
del costruire è caratterizzata da una continua proposta di spigoli vivi che vengono utilizzati per le facciate esterne e per le relative aperture e passano con indifferenza agli interni contagiando il disegno dei mobili.
Si nota un completo distacco dalla natura circostante e lo sguardo si posa su defatiganti orizzonti di cubi tutti uguali in cui nessun edificio è in grado di abbracciare lo spettatore o di coinvolgerlo in qualcosa che non sia la solitudine.

Attraverso il principio della divisibilità (principio di movimento, cioè
l'opposto della immobilità contemplativa) "...Mondrian aveva ridotto la pittura a una sorta di planimetria di zone colorate e sostituito alla plastica o pittorica rappresentazione dello spazio una pura designazione spaziale"(Argan). La sua pittura non realizza una immagine ma una formula che determina nell'osservatore una certa condizione mentale che lo abilita a concepire immagini spaziali.
In sostanza è o vuole essere un modo di vedere o un atteggiamento di fronte alla realtà che il possesso di quello schema formale determina permanentemente nello spettatore.
In architettura il discorso si sposta alla planimetria, cioè al principio di divisione e distribuzione dello spazio. Se ogni suddivisione spaziale corrisponde a un determinato complesso di atti necessari la planimetria perfettamente razionale si riconosce nel livellamento di tutti gli spazi che essa divide e quindi nel loro riconoscimento in qualità di valori spaziali assoluti.
Questo programma rigorista , l' Existenz-Minimum , da questo momento diviene uno dei motivi dominanti della polemica dell'architettura.
"E' un quantum che la funzione sociale, nell'economia del suo moto progressivo, assegna all'esistenza del singolo": uscire da quella misura, per eccesso o per difetto, vorrebbe dire distogliere energie dalla funzione, diminuire cioè il livello di vita dei molti per elevare quello dei pochi, una specie di correttivo ai risultati socialmente sconfortanti della darwiniana lotta per l'esistenza.
E' questa la condizione di vita dell'asceta moderno che crede nella "illimitatezza e infinitezza del principio del lavoro" e intende utilizzare questo principio non tanto per il godimento e il consumo quanto "per il continuo ampliamento del lavoro stesso e per la sempre più vasta riproduzione del capitale".
Giulio, ospite di una comunità in cui ho diretto un atelier, ha studiato architettura arrivando alla soglia della laurea. Da un po di tempo il suo unico disegno ripetuto in modo continuativo rappresenta la facciata di una cattedrale romanica, visitata assieme ad altri monumenti durante un viaggio in Francia con la moglie e il figlio, molti anni prima.
Ma la facciata, come spiega ogni volta, è di canne di bambù. In realtà la chiesa, l' edificio sacro, rappresenta simbolicamente una radura nella foresta in cui le colonne stanno a rappresentare i tronchi degli alberi che la limitano, i capitelli con le loro foglie di acanto ne costituiscono i germogli mentre le arcate fanno da fronde. Giulio in realtà non avrebbe mai potuto essere un architetto grazie a questa sorta di sacro terrore, che noi considereremmo di natura "ideologica", verso il distruggere, modificare, segnare l'ambiente.

Prendendo in considerazione le planimetrie di alcune ville romane rimaniamo colpiti dall'azione di quel passaggio "dal di faccia al profilo" che abbiamo descritto riguardo alle porte. Se nell'antichità l'architettura lasciava spazio alle possibilità dell'edificio di estendersi, allargarsi, crescere e riprodursi sul terreno circostante, quasi possedesse una vita biologica propria, oggi queste spinte risultano a carico del singolo abitatore. Nella planimetria è esplicitamente suggerita la "mira", di natura economico-razionalista in cui il bello non è il fine dell'arte e il piacere nasce non dalla contemplazione ma dall'impiego dell'oggetto artistico.
La villa di forma aperta sembra essere più congeniale all'identificazione dell'ambiente naturale circostante con la salute e il riposo mentale e fisico.
La sua espansione procede in modo informale in porticati asimmetrici e in ampi blocchi e spesso cresce come un organismo vivente dal momento che il facoltoso proprietario è tentato di estenderne la struttura iniziale con l'aggiunta di cortili, stanze, porticati. L'antica villa romana di Piazza Armerina in Sicilia, assieme alla villa adrianea di Tivoli, rappresentano un esempio eloquente di questa architettura oltremodo ampia e decisamente "organica". E' curioso osservare tuttavia quanto sarebbero rimasti sorpresi gli architetti rinascimentali se avessero potuto sapere che la maggior parte delle ville romane non coincidevano con quei canoni di classicità che essi immaginavano e utilizzavano. Dopo la scoperta di Ercolano e Pompei si potè osservare quanto queste antiche costruzioni fossero di solito "prive della simmetria assiale, del rigore e delle proporzioni razionali su cui si fondava la loro concezione dell'eredità della cultura antica".
La villa assolve pienamente la sua missione ideologica quando è in grado di interagire con gli alberi, le rocce e il terreno circostanti. Mentre la casa a struttura aperta diventa parte integrante dell'ambiente naturale quella a struttura cubica e a forma compatta spesso mette in risalto l'ambiente circostante mantenendosi isolata da quest'ultimo in una opposizione assoluta.

La villa di Lorenzo dè Medici a Poggio a Caiano, presso Firenze è un esempio di quest'ultimo tipo; l'intonaco bianco e l'inscrizione in un cubo stanno a significare un distacco completo tra il proprietario e la natura circostante, un rapporto "asettico e fisicamente distaccato".
In una occasione Palladio, quasi assumendo le sembianze di un moderno funzionalista e contraddicendo il suo tempo, giunse addirittura a eliminare le cornici delle finestre e i cornicioni nella villa della famiglia Godi a Lonedo.
Questa abitazione dalla superficie esterna completamente liscia viene commissionata all'architetto veneto da una famiglia fino a quel momento sopravvissuta grazie alla coltivazione terriera, e che tuttavia, da quel momento in avanti, disconosce le sue radici, dissimula la sua origine contadina per barattarla con quella della nuova aristocrazia commerciale e così facendo fa pensare al moderno "campione" proposto dalla filosofia della Bauhaus, al nuovo protagonista della scena sociale, l'eroico fautore di quella rivoluzione fredda che non ha aperto all'arte nuovi orizzonti di conoscenza ma ha posto la società futura al sicuro purtroppo da ogni possibile "rinascimento".

E' interessante citare qui una nuova corrente architettonica capeggiata da Léon Krier e denominata "Rinascimento urbano" che vuole approfondire i temi di una responsabile pianificazione urbana, uno sviluppo a misura d'uomo e la ricerca di qualità nell'edilizia. L'esempio italiano, ad Alessandria nel quartiere Città nuova, riporta facciate ricche di elementi in rilievo, porticati e abbaini, tetti classici, colonne e una struttura planimetrica tipicamente "organica", oltre alla riscoperta di antiche tecniche costruttive correlate a una vera cultura delle immagini edilizie.
Krier, progettista di Poundbury la città voluta da Carlo d'Inghilterra, nell'affermare che siamo costretti a subire la vista di molti più edifici brutti di quanti ne utilizziamo, danneggiando così la nostra salute mentale a favore di una sintomatologia depressiva, introduce il concetto di "archetipo" riconosciuto nei modelli tradizionali di urbanistica e di architettura, che secondo l'architetto belga agirebbero da lenimento all'angoscia. "Ai linguaggi personali dei maestri del moderno, Krier vuole sostituire una lingua: qualcosa di partecipato da tutti in un determinato luogo e, per ottenere questo, attinge all'unico strumento che possa offrire una garanzia di oggettività: la memoria collettiva, a quell'insieme cioè di immagini urbane depositate nei nostri cervelli" assumendoli come termine di paragone di ogni nostra reazione nei confronti delle architetture che vediamo.

La dislocazione in un tessuto urbano classico di elementi funzionalisti sembra provocare perfino una sensazione tangibile di spaesamento.
Nel pieno centro di Genova, nascosta tra piazza Deferraris e via XX settembre è stata costruita negli anni'70 una agghiacciante piazzetta triangolare circondata da ogni lato da modernissimi edifici in cemento acciaio e vetro. Nessuno si ferma in questo spazio quasi sempre deserto, saltuariamente frequentato solo per il consumo o lo spaccio di sostanze.

In conclusione passando a considerare ancora una volta le piante delle
abitazioni si può notare che l'architettura funzionalista limita, sino a togliere oggi, attraverso gli open space o i loft, qualunque barriera tra
l'ingresso/anticamera e la camera da letto, luogo in cui viene gestita la
generatività della specie umana. In queste nuove strutture, che spesso
riutilizzano ambienti lavorativi d'epoca, appartenuti alla rivoluzione industriale dell'ultimo secolo, non si trova soluzione di continuità tra le varie stanze e il visitatore con un colpo d'occhio può abbracciare tutti i locali.
In molte comunità psichiatriche si discute ultimamente se gli atelier di pittura debbano essere attuati a porte chiuse, aperte o modulate o come "luoghi senza pareti, con pareti ermeticamente chiuse o permeabili agli scambi interno-esterno". La metafora architettonica riporta alla concezione perduta di anticamera o camera di compensazione, non solo nell'architettura moderna ma anche nella gestione attuale della clinica, almeno in ambito pubblico, in cui spesso vige una presa in carico comunitaria della patologia.
Riuscire a chiudere la porta mentre si parla con un paziente significa dare valore a un intervento, evidenziare la possibiltà di riappropriarsi di un fare terapeutico che coinvolge anche la strutturazione degli spazi architettonici.

E ancora le piramidi, monumenti mortuari per eccellenza, non mostrano nessun segno di entrate mediante portali, come i grandi palazzi moderni di stile funzionalista.
Come questi ultimi, sembrano rappresentare l'estrema specializzazione di una tecnica che, come per le piramidi, ha abbandonato da tempo un'utilizzazione terrena/umana delle costruzioni per elaborare unicamente una sorta di "modulo" o "nave spaziale" atta a connettere direttamente il corpo del faraone con un aldilà popolato ancora da tecnologie atte a riceverlo e conservarlo per sempre. La realizzazione tecnica dell'eternità conseguenza del rifiuto della natura biologica dell'uomo.
E' da notare che curiosamente la parola "portale" è rimasta in vita su internet, la quintessenza del virtuale, ad indicare il suo antico utilizzo, l'avvertimento di ciò che al di la vi è contenuto.

Gian Battista Ricci

BIBLIOGRAFIA

James S. Ackerman, La villa. Einaudi, Torino, 1992
Giulio C. Argan, Walter Gropius e la Bauhaus. Einaudi, Torino,1974
Sergio Finzi, Il mistero di Mister Meister. Dedalo, Bari, 1983
Sergio Finzi, Nevrosi di guerra in tempo di pace. Dedalo, Bari, 1989
Sigmund Freud, Inibizione, sintomo e angoscia in Isteria e angoscia (editio minor). Bollati Boringhieri, 1988
Hopper, I classici dell'arte. Skira-Rcs, Milano, 2004
Léon Krier, Architettura, scelta o fatalità.Laterza, Bari, 1995
Gabriele Tagliaventi, Rinascimento urbano. Teleura, Milano,2000
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Testo del seminario tenuto nella sede de "La Pratica Freudiana", nell'Aprile 2005 e pubblicato sulla rivista "Il Piccolo Hans-Il Cefalopodo" (Moretti & Vitali)

lunedì 12 gennaio 2009


UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA
FACOLTA’ DI INGEGNERIA – STORIA DELL’ARCHITETTURA
(DOTT.SSA LUISA ERBA)

LEZIONE DEL DOTT. GIAN BATTISTA RICCI SU“ARCHITETTURA E PSICOANALISI”
14 GENNAIO 2009 AULA A1

Durante una trasmissione che parlava del “Tour de France”, nota manifestazione sportiva internazionale, che risulta essere la seconda trasmissione televisiva di sport più seguita al mondo, recentemente uno spettatore ha affermato che molto probabilmente l’alta audience è dovuta, oltre che ovviamente alla presenza di campioni internazionali, alle ottime riprese televisive della tv francese che mettono in risalto anche i più sperduti paesini della nazione attraversata dal Tour.
Purtroppo non è così.
Senza voler sminuire le capacità di registi e cameramen d’oltralpe i paesini sono realmente “più belli” di qualunque altro territorio attraversato da un giro ciclistico e questo dovrebbe farci meditare sul significato che per noi italiani ha ancora la parola “bello”, visto che per buona parte della gente comune sembra essere un concetto ancora efficace e rappresentativo.

Come dicevo durante una conversazione a due voci, un dialogo tra una musicista/musicoterapista e il sottoscritto, psicoanalista, arte terapeuta e architetto per passione, tutti possono constatare ciò che forse già sappiamo inconsciamente: cioè che l’architettura come la musica e l’arte in generale, hanno la capacità di suscitare stati d’animo controversi che vanno dall’angoscia alla depressione, dall’armonia all’estasi, a seconda che vadano a insistere su strutture già esistenti all’interno della psiche.
L’intelligenza umana civilizzata - sono parole di Leon Krier, architetto belga, promotore di quel movimento culturale che ha dato vita alla mostra itinerante di architettura chiamata “A vision of Europe”- viene generalmente sedotta e persuasa, senza spiegazione e giustificazione alcuna, da oggetti utili e belli ad un tempo, dall’armonia delle forme e dei colori, dai metodi di costruzione e composizione.
Il banalismo architettonico, come quello musicale e artistico in generale, riuscirà ad annientare l’ambiente umano?
L’architettura (come la musica o l’arte) esercita su di noi un’influenza positiva o negativa, arricchisce o impoverisce profondamente la nostra esistenza, non è mai neutrale.

L’architettura (così come la musica) è forma, proporzione, ordine ed equilibrio. L’architettura di un edificio può essere letta attraverso un percorso che muove dal punto come unità, alla successione regolare e costante di un movimento, dalla divisione metrica alla varietà ritmica, dalla creazione di una sequenza ritmica che segue una logica strutturale al movimento nello spazio.

Punto, linea, superficie. La modernità spesso è “psicotica” nel senso che la semplificazione (che solitamente non è espressione dello spirito matematico ma un effetto deleterio della serialità derivata da quello che si definisce “coazione a ripetere”) in architettura è indice del disvelamento del substrato psicotico comune a tutti (fondo psicotico), substrato che ha a che fare più con la “voglia di generazione” sic et simpliciter che con qualche motivazione di natura economica.

Molto più umanamente (e animalmente) fruibile, dal punto di vista del benessere psichico risulta essere la complessità di un borgo medioevale nei confronti di un moderno condominio.
Come è intuibile, l’osservazione di una qualunque immagine seriale, ripetitiva, anche se scandisce musicalmente un ritmo, risulta essere una rappresentazione arcaica del ritmo stesso (per esempio il battito del cuore umano che ha dato origine alle prime imitazioni dei ritmi musicali).
Questo pervicace arcaismo, lungi dal rappresentare il mitico e auspicabile ritorno alle origini, se viene protratto a tappeto su tutte le costruzioni diventa sintomo dell’appiattimento assoluto dell’architettura sull’ingegneria costruttiva di stampo esclusivamente funzionalista.