lunedì 12 gennaio 2009


UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA
FACOLTA’ DI INGEGNERIA – STORIA DELL’ARCHITETTURA
(DOTT.SSA LUISA ERBA)

LEZIONE DEL DOTT. GIAN BATTISTA RICCI SU“ARCHITETTURA E PSICOANALISI”
14 GENNAIO 2009 AULA A1

Durante una trasmissione che parlava del “Tour de France”, nota manifestazione sportiva internazionale, che risulta essere la seconda trasmissione televisiva di sport più seguita al mondo, recentemente uno spettatore ha affermato che molto probabilmente l’alta audience è dovuta, oltre che ovviamente alla presenza di campioni internazionali, alle ottime riprese televisive della tv francese che mettono in risalto anche i più sperduti paesini della nazione attraversata dal Tour.
Purtroppo non è così.
Senza voler sminuire le capacità di registi e cameramen d’oltralpe i paesini sono realmente “più belli” di qualunque altro territorio attraversato da un giro ciclistico e questo dovrebbe farci meditare sul significato che per noi italiani ha ancora la parola “bello”, visto che per buona parte della gente comune sembra essere un concetto ancora efficace e rappresentativo.

Come dicevo durante una conversazione a due voci, un dialogo tra una musicista/musicoterapista e il sottoscritto, psicoanalista, arte terapeuta e architetto per passione, tutti possono constatare ciò che forse già sappiamo inconsciamente: cioè che l’architettura come la musica e l’arte in generale, hanno la capacità di suscitare stati d’animo controversi che vanno dall’angoscia alla depressione, dall’armonia all’estasi, a seconda che vadano a insistere su strutture già esistenti all’interno della psiche.
L’intelligenza umana civilizzata - sono parole di Leon Krier, architetto belga, promotore di quel movimento culturale che ha dato vita alla mostra itinerante di architettura chiamata “A vision of Europe”- viene generalmente sedotta e persuasa, senza spiegazione e giustificazione alcuna, da oggetti utili e belli ad un tempo, dall’armonia delle forme e dei colori, dai metodi di costruzione e composizione.
Il banalismo architettonico, come quello musicale e artistico in generale, riuscirà ad annientare l’ambiente umano?
L’architettura (come la musica o l’arte) esercita su di noi un’influenza positiva o negativa, arricchisce o impoverisce profondamente la nostra esistenza, non è mai neutrale.

L’architettura (così come la musica) è forma, proporzione, ordine ed equilibrio. L’architettura di un edificio può essere letta attraverso un percorso che muove dal punto come unità, alla successione regolare e costante di un movimento, dalla divisione metrica alla varietà ritmica, dalla creazione di una sequenza ritmica che segue una logica strutturale al movimento nello spazio.

Punto, linea, superficie. La modernità spesso è “psicotica” nel senso che la semplificazione (che solitamente non è espressione dello spirito matematico ma un effetto deleterio della serialità derivata da quello che si definisce “coazione a ripetere”) in architettura è indice del disvelamento del substrato psicotico comune a tutti (fondo psicotico), substrato che ha a che fare più con la “voglia di generazione” sic et simpliciter che con qualche motivazione di natura economica.

Molto più umanamente (e animalmente) fruibile, dal punto di vista del benessere psichico risulta essere la complessità di un borgo medioevale nei confronti di un moderno condominio.
Come è intuibile, l’osservazione di una qualunque immagine seriale, ripetitiva, anche se scandisce musicalmente un ritmo, risulta essere una rappresentazione arcaica del ritmo stesso (per esempio il battito del cuore umano che ha dato origine alle prime imitazioni dei ritmi musicali).
Questo pervicace arcaismo, lungi dal rappresentare il mitico e auspicabile ritorno alle origini, se viene protratto a tappeto su tutte le costruzioni diventa sintomo dell’appiattimento assoluto dell’architettura sull’ingegneria costruttiva di stampo esclusivamente funzionalista.

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